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Raisa Clavijo
Critico d'arte
Direttore Artpulse

La missione dell’artista è di generare riflessioni e attirare l’attenzione su temi, idee e situazioni che, in quanto ordinarie, potrebbero passare inavvertite. Ne Lo spirituale nell’arte, Kandinsky parlava dell’artista come di un individuo privilegiato, un osservatore e decodificatore dell’ambiente dotato della capacità di identificare, visualizzare e assimilare stimoli esterni, di processarli, passarli al vaglio della creatività e di restituirli sotto forma di opere d’arte, poiché la vera arte, più che riprodurre la realtà, incoraggia lo spettatore a scoprirne un aspetto potenzialmente impercettibile alla vista. L’opera di Annalaura di Luggo si basa sul riconoscimento del valore dell’essere umano come “unico e irripetibile”, così come unico e irripetibile è il modo in cui ognuno di noi percepisce il mondo. Questa è una delle ragioni per cui ha scelto come protagonista delle sue fotografie un dettaglio variabile in ogni individuo come l’iride, che è composto da scanalature, fessure e segni che si creano casualmente durante lo sviluppo del feto nel grembo materno nonostante il DNA ne determini colore e struttura. Ma il lavoro di Annalaura non si ferma alla macrofotografia di un particolare anatomico di rara bellezza; il tema principale del progetto Occh-IO/Eye-I è appunto la soggettività della percezione umana e l’unicità dello strumento che l’artista immortala con una macchina fotografica, costruita usando risorse tecniche della scienza oftalmologica e da lei brevettata. Nella Critica della ragion pura, Kant parlava del ruolo attivo del soggetto al momento della percezione non come una facoltà passiva, limitata alla semplice raccolta di dati che provengono da oggetti e eventi, ma bensì come un’attività di configurazione della realtà condizionata dal confronto con la propria esperienza, dal modo in cui l’individuo acquisisce gli stimoli del mondo esterno, li elabora e li interpreta. L’immagine dell’iride è solo una parte del processo creativo di Annalaura, e viene complementata dalle interazioni generate nel momento di catturare le immagini stabilendo uno scambio empatico attraverso un’intervista che non segue un questionario definito, ma che permette al soggetto di condividere punti di vista e opinioni su temi diversi, dalle esperienze di vita più intime a questioni universali come la religione, l’economia, la cultura o la società. Si tratta dunque di un gesto performativo intimo, di vicinanza, e che inizialmente potrebbe essere considerato invadente, in un mondo dove le persone evitano sempre di più di toccarsi, di confidarsi, di guardarsi negli occhi, di dirsi parole dolci, di mostrare il proprio lato debole, il proprio lato umano. La fotografia dell’iride rimane come prova di quel momento di complicità e comunione tra due esseri umani (l’artista e il soggetto a cui l’occhio appartiene) che è unico e irripetibile come gli occhi che lo stabliscono. L’interazione è infissa nel dialogo, in quella conversazione che apparesemplice ma che inizia con una domanda estremamente complessa, per la quale quasi nessuno ha una risposta precisa: il significato della vita. Nel corso degli anni in cui ha sviluppato il progetto Occh-IO/Eye-I, Annalaura di Luggo ha avuto l’opportunità di relazionarsi con soggetti di vari livelli sociali, razze e culture: uomini d’affari, star del cinema, della televisione e del mondo dello spettacolo, intellettuali, studenti, scrittori, milionari, senzatetto, casalinghe, artisti, scienziati, vittime della tratta di esseri umani, immigrati, detenuti e persone diversamente abili. Tutti sono passati davanti al suo obiettivo invitati a condividere le loro esperienze. Blind Vision nasce invece dall’interesse dell’artista di esplorare l’universo di chi percepisce la realtà con sensi diversi dalla vista. Realizzato dopo essere entrata in contatto con l’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti e con l’Istituto Paolo Colosimo di Napoli, Blind Vision non costituisce solo una ricerca sociale e artistica sulla percezione umana, ma anche un’affermazione del valore dell’individuo come parte attiva della società. Il progetto è iniziato nel novembre 2016 quando l’artista ha incontrato un gruppo di 20 persone di varie età, professioni e livelli di istruzione parzialmente o totalmente non vedenti. Nel corso di questo incontro preliminare, Annalaura ha fotografato i loro occhi, invitandoli a condividere l’esperienza di vivere con un senso in meno e di dover percepire la realtà attraverso mezzi alternativi alla vista al tempo stesso, ispirando la realizzazione del documentario Blind Vision diretto dal noto regista Nanni Zedda. Queste interazioni hanno anche generato un ricco archivio di storie di vita, sentimenti e riflessioni su come la società percepisce le persone che soffrono di difficoltà visive. Raccolte nell’installazione multimediale Blind Vision, introducono lo spettatore all’esperienza del non vedere attraverso una rampa di scale in discesa che conduce in una stanza la cui architettura ricorda una grotta oscura, dove sono stati collocati 20 light box destinati a riprodurre la forma dell’iride di ognuno dei protagonisti. Seguendo un copione attentamente strutturato dall’artista e dall’ingegnere del suono Paky Di Maio, ogni light box si illumina per qualche istante e narra attraverso la voce del soggetto l’esperienza di affrontare un’avversità che anziché penalizzante si è rivelata fonte di forza e speranza, indicando un percorso alternativo dove poter vivere con ottimismo e realizzare i propri sogni. Come sottofondo sonoro dell’opera, Di Maio ha composto una musica generata dai suoni dell’ambiente in cui si sono verificate questi incontri, oltre ai suoni che quotidianamente percorrono l’Istituto Colosimo e le strade circostanti. In una sala buia accanto all’installazione multimediale è esposta Essenza, una scultura, creata da Annalaura per essere percepita dai non vedenti prendendo a modello uno degli occhi fotografati a cui manca interamente la pupilla. Definita da una carica poetica sconcertante, il gioco di parole tra “essenza” e “è senza” fa sì che l’assenzasi carichi di presenza, di significato, proclamando a gran voce che l’essenziale non è nella materia ma nello spirito, nei sentimenti, nell’energia che muove il cuore e i corpi di persone che non hanno bisogno di vedere per raggiungere i loro obiettivi. Un terzo progetto nato dalla magia di questi incontri è la mostra “A Journey of Light”, una raccolta di immagini scattate dal fotografo napoletano Sergio Siano come documentazione dei momenti in cui Annalaura interagiva con i partecipanti al progetto. Annalaura descrive questo viaggio come l’ingresso a un universo nuovo e inaspettato. “Avevo paura di trovare un buio disperato, e invece è stato un cammino di luce che mi ha arricchito l’anima”. Ogni incontro, ogni conversazione è stata una lezione di vita per l’artista, così come probabilmente lo sarà per i visitatori della mostra. Pur essendo spesso ignorate dalla società, le persone con difficoltà visive hanno in realtà molto da condividere e da insegnare. Questa selezione di foto raccoglie momenti in cui i partecipanti al progetto e l’artista danzano, si abbracciano, si tengono per mano, condividono una carezza, insegnano l’un l’altro a fare i massaggi e a leggere in Braille. In uno degli incontri, Roberta Cotronei, una delle partecipanti, dice: “Molte volte voi non vedete, perché le immagini vi affollano la mente e sono talmente tante da perdere il filo di qualcosa molto più importante”. Difficile darle torto. La sicurezza che ci dà la vista spesso si traduce in arroganza, impedendoci di vedere le cose essenziali. Guardando queste immagini, mi ha fatto ricordare un’idea espressa da Zygmunt Bauman in L’Arte della vita. Secondo il filosofo il problema dell’uomo contemporaneo è di cercare quasi sempre la felicità dove non può trovarla. La felicità non consiste nell’accumulazione di oggetti, conoscenze, meriti, né nella stabilità materiale, ma bensì nella ricchezza delle relazioni umane e nella capacità di riconoscere che ciò che è veramente importante nella vita molte volte passa inosservato davanti agli occhi. Il catalogo che accompagna questa mostra non si limita a raccogliere esclusivamente immagini delle opere e saggi critici sul percorso o la strategia creativa dell’artista, com’è consuetudine con questo tipo di pubblicazioni. Nel catalogo di Blind Vision Annalaura di Luggo ha infatti incluso anche una sezione chiamata “Protagonisti”, che raccoglie un profilo biografico per ciascuno dei venti partecipanti al progetto raccontato con le loro parole e accompagnato da immagini della loro vita quotidiana. Quando ho iniziato a lavorare a questo progetto, mi ha particolarmente colpito una frase di Mario Mirabile, uno dei partecipanti: “Il mondo dei ciechi è invisibile ai più”. Annalaura mi ha detto successivamente che è stata proprio questa frase lo stimolo che l’ha portata ad esplorare l’universo di queste persone per farlo conoscere al grande pubblico. “Protagonisti” mostra 20 finestre affacciate su vite del tutto similia quelle di qualunque altro essere umano, facendosi testimonianza del contributo che ognuno di questi individui dà alla società. Foucault si chiedeva, se una lampada o una casa può essere un’opera d’arte, perché una vita umana non può esserlo? (in Rabinow, 1984). Blind Vision è un progetto di live art in cui l’opera d’arte non è solo video, scultura o fotografia ma contatto tra artista e partecipanti. La traccia residua di questi incontri non termina con loro, ma rimane immortalata per essere percepita da migliaia di spettatori in futuro. I suoi effetti si estendono nel tempo e continuano non solo a riprodursi, ma anche a cambiare, mutare e adattarsi al trascorrere della vita dei partecipanti. In uno scenario come quello odierno che promuove la competizione, la lotta per lo spazio e per le opportunità, la tendenza a fingere e a mettersi in mostra, e soprattutto a categorizzare, escludere e separare, Blind Vision propone un percorso alternativo attraverso l’empatia, l’unire, l’includere, il mettersi nei panni dell’altro, l’ascoltare, il capire e l’accettare, seguendo l’ammonimento di Cartesio secondo cui è l’anima che vede, non l’occhio.
© Annydi 2020
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