Francesco Gallo Mazzeo
Critico d'arte
Napoli/Eden. È un’idea, è uno specifico, è un progetto. Lo spazio è quello storico, attuale, indicibilmente affascinante, quanto complesso, del centro di Napoli, perno fondamentale della metropoli, del mito e della realtà, del mito che tende a diventare oggetto concreto e della realtà che si tramuta in dramma, in tragedia ma anche in sublime seduzione e in contemplazione senza fine, tra pietre, odori e sapori. L’idea e il progetto per questa edizione di Napoli/Eden è quella della disseminazione in piazze, strade, vicoli e luoghi dello splendore, fatto con strumenti ordinari nei materiali e nella tecnica, portati alla vitalit à artistica e sottratti al destino di morte in discarica o magazzino. Un’invenzione, un’artisticità fatta di alluminio e altri materiali manipolabili, trasformati in opere d’arte, colorati, illuminati, che sfidano l’architetturalità, in una idea di barocco contemporaneo, nella sua essenzialit à, quella di non avere un centro e tante periferie, ma una grande e diffusa centralità, che tenda ad abolire il concetto stesso di periferia, in una modernità che supera il concetto di prospettiva e lo fa diventare una grande teatralità, che nella sua cronologia definita, tende ad indicare un cammino di speranza in cui ciò che c’è oggi è una tappa, di un itinerarium di gioia e felicità. È il modo in cui l’utopia dell’arte, traduce il suo non luogo, che nella fantasia, nel reale, nel materiale, di ciò che non serve ad un bisogno specifico, ma insegna la bellezza del gesto, del dono, in una città bene di tutti e non casa di nessuno, per cui si pensa che questo “esperimento” si possa e si debba estendere ai mille luoghi di Napoli che sono oltre il centro storico e attendono, nei tempi brevi, di passare dalla aridità che li ha concepiti e voluti, in maniera abissale e senza qualità, in luoghi dell’identità, in devozione alla bellezza. Per questo pensiamo anche a momenti della parola, del dibattito, dell’inchiesta, perché l’arte pubblica non è, non deve essere una imposizione aristocratica, autoreferente, ma una poesia, un dialogo. Annalaura di Luggo, è l’artefice designante e designata di questa osservazione natalizia che non vuole essere affogata nella retorica, ma si propone come prova del nove che sappia mettere insieme il presente-passato, il presente-presente, il presente-futuro, perché a dominare deve essere la vita, la fede, la speranza, che è un modo di stare nella tradizione o nella classicità, con sperimentazione, con innovazione, altrimenti non resta che il tradizionalismo folcloristico e il classicismo mortuario. Nella città di San Gennaro, di Pulcinella, di Raimondo di Sangro, di Benedetto Croce, bisogna saper vedere lontano e sentire vicino, per non inciampare e non errare inutilmente. Per questo l’emblema di Annalaura di Luggo è un occhio, un’iride, una pupilla, un reale vedere.